Primi spunti dalla strada
Una lista di cose, mai scontate, che sto imparando dal mio viaggio-inchiesta. E poi, il passaggio concettuale da "valori di genere" a "libertà della donna"
Viaggiando per l’Italia chiedendo ai tanti italiani che incontro per la strada, nei parchi, sui mezzi di trasporto, nei bar (soprattutto nei bar!) di parlare con me di parità di genere, cosa sto imparando che non avrei potuto immaginare e comprendere, collocando osservazioni e insegnamenti all’interno di un preciso contesto umano, se mi fossi accontentata di commentare le molteplici forme di oppressione della donna in Italia comodamente seduta alla mia scrivania1?
Sto imparando che il benaltrismo (ci sono problemi più importanti!), le braccia allargate, gli occhi alzati, i sospiri spossati (aridaje, cheppalle co sti discorsi!), la resistenza esplicita (guarda che però anche le donne…!), di cui ero convinta che l’Italia fosse un museo a cielo aperto, sono in realtà rarissimi da incontrare per strada.
Interrogati sulla parità di genere, infatti, la maggior parte degli italiani sorride alle mie domande felice di potermi dare la risposta che secondo loro è quella giusta, buona e virtuosa, ovvero: sarebbe meglio che di parità di genere e della dignità della donna in Italia non se ne parlasse proprio, perché in fondo siamo tutti uguali. Se persistono disuguaglianze, violenza, ingiustizie, è colpa di un malizioso, generico gruppo di “altri” che per ignoranza non riconoscono questa semplice verità — un gruppo dal quale i miei intervistati, a cui piace professarsi “di mente aperta”, si sono tutti prontamente chiamati fuori. La mancanza di coscienza sulle questioni di genere non è solo mancata conoscenza dei valori, delle cause, delle conseguenze in gioco; è anche inconsapevolezza di sé.
“Al 2024 mi fa specie che si parli ancora di queste cose”, mi ha detto Gino, 69 anni, che ho fermato insieme all’amico Giuseppe per due chiacchiere mentre facevano prendere l’ora d’aria ai rispettivi cani in un parco di Alghero.
“Secondo me se continuiamo a parlarne è peggio”, ha fatto eco Giuseppe. Invece di discutere dei problemi della mentalità italiana sui temi di genere, Giuseppe preferirebbe che si gettasse luce su esempi positivi di donne che non si limitano a stare a casa a rifare i letti e buttare la pasta: donne che “fanno tante cose”, tipo “quello che sta facendo lei adesso”, mi ha detto, indicando come “esempio positivo” le interviste che stavo conducendo in giro per Alghero. Infatti, chissà quanto mi toccherà spingere, come giovane donna, affinché all’inchiesta che sto portando avanti venga concesso il beneficio della credibilità e dell’attenzione.
“Io sono per la parità. Uomo, donna, trans, se lo meriti, devi salire [la scala sociale]”, ha dichiarato fiero un tassista romano prima di chiedermi — “a proposito di genere” — se avevo sentito “quella storia della ragazza che è diventata maschio e poi è rimasta incinta? Mo’ ce sta ’a mamma ca’a barba” (il tassista si riferisce alla storia dell’uomo trans che ha scoperto di essere gestante in occasione dell’intervento di isterectomia).
Anche Daniele, quarantasettenne proprietario di una vineria a Trastevere, è convinto che “de parità de genere non se deve neanche parlà. Uomini, donne, tutti uguali”. Infatti, secondo Daniele, la parola “femminicidio” non è necessaria, perché è troppo specifica: “Coniare un nome apposta me sembra troppo”.
Sto imparando che spesso la reazione più vera e sincera alle fallacie logiche di questi ragionamenti — di cui ho riportato solo qualche esempio tra i tanti che ho raccolto — proviene dal futuro del nostro paese: i ragazzi giovanissimi, anche maschi. “Eh no, certo che bisogna parlarne!” ha esclamato P. quando ho spiegato a lui e a quattro sue compagne di classe in un istituto professionale di Alghero che tanti adulti sostengono il contrario. “Senza parlarne non si risolve niente,” ha proseguito P., anni quindici. “Come quando si litiga: se non se ne parla, non si risolve”.
Sto anche imparando che una donna come me, che riflette scrive e lotta tutti i giorni per la liberazione della propria identità, si trova molto spesso di fronte a un’altra persona che su questo argomento non possiede conoscenze, linguaggio, opinioni. Invitata a conversare di questi argomenti, la persona infila una castroneria dietro l’altra. Però la conversazione si sviluppa all’interno di un rapporto spontaneo di bontà, calore, accoglienza, come mi è capitato con Yari, 33 anni, operaio a Montegiorgio, nelle Marche. Una donna come me si trova così di fronte a un dilemma non da poco: come gestire una valutazione negativa di un certo tipo di opinione su temi fondanti dell’esperienza umana, all’interno di un relazione che invece è positiva? Come si può fare leva sull’umanità di questa relazione per creare coscienza sulle questioni di genere in chi ancora non ce l’ha? Si può fare, non solo nel senso di è possibile, ma anche nel senso di è corretto?
Sto imparando che non bisogna conoscere bene la teoria per agire in maniera significativa e ottenere risultati importanti nella pratica. Giuliano ha 86 anni e la quinta elementare, ed è cresciuto come militante politico al fianco di Ada Natali, la prima donna sindaca in Italia. Giuliano non userà mai il femminile “sindaca” — guadagnandosi i rimproveri di Laura Boldrini — perché “la Costituzione parla di sindaco, e sindaco è rappresentativo sia di uomo che donna. Non ci deve essere differenza. Il sindaco è il sindaco”.
Giuliano mi ha garantito che non c’è proprio modo di convincerlo altrimenti. Però, nelle quattro ore che abbiamo passato insieme a parlare di Ada Natali e della storia del paese di Massa Fermana dove è stata eletta, Giuliano mi ha anche raccontato in dettaglio e fornito numerosi chiari esempi di come in qualità di militante del Partito Comunista finché c’era, del Partito Democratico ora, lui abbia sempre lottato concretamente per la partecipazione attiva delle donne in politica e la loro elezione a cariche di rilievo. Alla prova dei fatti, l’affermazione “per me la parità è importante” — che con tanti altri intervistati si è rivelata vacua — con Giuliano regge. E quindi, che ne facciamo delle sue enormi lacune sulla teoria? A fronte di una serie di iniziative da parte di Giuliano che hanno aiutato a liberare le donne in politica, come gestiamo il suo rifiuto a usare il femminile “sindaca”?
Sospetto che anche qui entri in gioco l’importanza di un rapporto umano. La mancanza di consapevolezza sui valori legati alla parità di genere non può essere scusata, perché di questa mancanza di consapevolezza le donne continuano a morire ammazzate. Ma facendo leva sull’umanità che si crea all’interno di un rapporto di fiducia tra due persone — laddove da entrambe le parti c’è terreno fertile, e tempo per coltivarlo — può esserci la possibilità di trasformarla.
Sto imparando che gli uomini, almeno il campione che ho incontrato finora, hanno molta più voglia delle donne di farsi intervistare sulle questioni di genere. C’è un desiderio di performatività da parte loro che corrisponde a una forma di riservatezza da parte nostra. Questo è un dato importantissimo, da approfondire sia sul campo, che in una futura edizione di questa newsletter.
Sto imparando che posso prenotare aerei, treni e automobili2 anche all’ultimo, e i prezzi rimangono comunque contenuti, e il mondo non cade come mi aspetto sempre che accada, e io stessa mi rivelo inaspettatamente capace di gestire un calendario ove le certezze si limitano alle ventiquattr’ore successive.
Sto imparando che le cose più becere sulle donne che ho sentito dire nelle prime due settimane di viaggio non sono uscite dalla bocca del cosiddetto popolino, come spesso erroneamente si pensa, ma da quella di un lombardo privilegiato, ricco, istruito, saputello. Non a caso la mia prossima tappa sarà Milano, luogo di nascita del fenomeno italiano che ha elevato la prepotenza di un uomo ricco a progetto politico e spettacolo mediatico fondati sulla cultura dello stupro.
Infine, sto imparando che forse l’espressione migliore per parlare di ciò che intendo non è “valori di genere”, che è tanto breve e concisa quanto ambigua e malleabile, e perciò inadatta a quello che voglio comunicare. Anche il patriarcato in fondo è espressione di valori di genere, che però sono l’esatto opposto di quelli che si vuole portare avanti qui. Ringrazio la professoressa Paola Rudan del Dipartimento di Storia Culture e Civiltà dell’Università di Bologna per avermi fatto ragionare su questo dettaglio lessicale fondamentale.
Ho chiesto alla professoressa Rudan come possiamo quindi condensare in poche parole il concetto che volevo esprimere con “valori di genere”: un sistema di principi e ideali fondamentali in materia di uguaglianza tra uomo e donna, non solo a livello di accesso a opportunità economiche, sociali e politiche, ma anche di rispetto e valorizzazione della persona, del suo ruolo e della sua immagine.
Rudan ha sorriso, ci ha pensato un attimo, poi ha suggerito: “Libertà della donna”. Era una formulazione così semplice!… eppure sfuggiva anche a me, che questa libertà vado cercando nel mio viaggio e nella vita. Chissà se e quanto sfugge anche ai prossimi italiani che incontrerò per la strada: per scoprirlo, proseguirò nel viaggio partendo proprio dalla parola libertà. Credo che domande come C’è libertà per la donna in Italia oggi?, Che cos’è la libertà della donna?, Che cosa ne pensi della libertà della donna? possa aprire spiragli di conversazione molto diversi da un semplice, e forse troppo vago e didascalico, Cosa ne pensi della parità di genere in Italia?
Finora mi sono mossa tra i seguenti luoghi: la mia Bologna natia; i dintorni di Massa Fermana, nelle Marche, dove è stata appunto eletta la prima donna sindaca d’Italia (Ada Natali); il triangolo rettangolo compreso tra Alghero, Sassari e Borutta, dove è stata eletta un’altra tra le prime donne sindache (Ninetta Bartoli), passando anche per il paese di Ittiri; Roma e San Felice del Circeo, dove si è scritta una delle pagine più buie dell’oppressione delle donne in Italia.
Vi ricordo che il recipiente ultimo della mia inchiesta è un libro, non questa newsletter su Substack, né Instagram (dove condivido aggiornamenti dal viaggio in maniera più frequente). È per questo che vi presento una selezione molto piccola del materiale che sto raccogliendo, in maniera quanto più possibile sintetica, con l’obiettivo di lanciare piccoli spunti. Anche perché, come dicevo nella scorsa edizione della newsletter, il viaggio che sto compiendo è molto stancante. Vorrei scrivere molto più di così, ma durante un’esperienza così totalizzante è difficile trovare non solo il tempo, ma anche l’energia per farlo.
Ed è proprio al fine di conservare energia per le mie interviste in giro per l’Italia che vi invio questa newsletter senza preoccuparmi troppo di abbellirla. Avrei potuto scriverla meglio? Sì. Sono troppo dura con me stessa? Sì. Voglio finalmente condividere con voi qualche riflessione dal mio viaggio-inchiesta? Sì.
Allora è venuto il momento di cliccare invia.
—Enrica
Ps. Sono grata ad
, giornalista freelance, per aver condiviso Anche una donna qui nella sua newsletter sempre qui su Substack, , dove raccoglie consigli, riflessioni, spunti sul mondo della creatività e della cultura pop al femminile: musica, podcast, libri, newsletter, film… Spero di aver sintetizzato bene il tuo meraviglioso progetto, Alessia! Grazie per il tuo lavoro!Vi chiedo di dimenticare per un attimo che la mia scrivania di norma si trova a Boulder, in Colorado, negli Stati Uniti d’America. Ci sono tante persone che vivono in Italia e commentano l’oppressione della donna tanto quanto me, senza però approfittare della fortuna di avere una scrivania in Italia per uscire a parlarne con la gente.
Purtroppo in italiano si perde il riferimento a Planes, Trains and Automobiles, commedia di John Hughes con Steve Martin del 1987. Erano i tempi in cui nella traduzione dei titoli dei film si prendevano enormi licenze poetiche: in italiano, Planes, Trains and Automobiles è diventato Un biglietto in due.
Grazie di cuore a te per la segnalazione, Enrica <3